Oggi, nel cuore di
Naha, si è tenuta l’ennesima manifestazione contro i progetti di ampliamento
delle basi militari americane nella baia di Henoko e nella foresta Yanbaru –
nei dintorni del villaggio di Takae -, nel Nord dell’isola maggiore dell’arcipelago
di Okinawa. Anche in questa occasione chi ha protestato, me fra loro, lo ha
fatto in maniera divertente, quasi come in una specie di piccolo carnevale. Per
l’occasione io e Satoka abbiamo preparato cartelli dai messaggi forti e chiari,
poi abbiamo raggiunto i facinorosi accampati per un grande picnic alla base del
municipio di Naha.
Rispetto al passato –
questa deve essere già la terza o quarta manifestazione a cui partecipo – c’è
stata una crescita di livello, dal locale all’internazionale. In passato si
vedevano solo cartelli in giapponese, ma oggi erano molti anche quelli in
inglese. Forse una conseguenza della recente rielezione del sindaco di Nago,
dichiaratamente anti-basi e contrario alla strategia del primo ministro Abe. Numerosi
i giornalisti e i fotografi, intenti a riprendere chi leggeva messaggi al
governatore di Okinawa (Nakaima), un voltagabbana che si è rimangiato le promesse
elettorali appena Abe gli ha promesso di ricoprire Okinawa di yen se gli avesse
lasciata carta bianca per far spazio a ulteriori basi americane. Una bambina ha
letto anche un bel messaggio di invito a visitare Okinawa destinato alla nuova
ambasciatrice americana in Giappone, Caroline Kennedy, di recente balzata alla
cronaca per aver protestato contro l’oscena strage di delfini nella baia di
Taiji, un macabro rituale che si ripete ogni anno difeso dal governo di Abe in
nome della abusata ‘cultura’ (finiti i delfini finirà la cultura?).
La sfilata è stata
preceduta da una serie di spettacoli di musica: dall’onnipresente Hula hawaiana a musica vagamente
balcanica, a suon di fisarmonica. Una mostra fotografica sull’ecosistema in
pericolo e sulla situazione nei pressi di Takae – dove sono in costruzione
nuovi eliporti per i devastanti elicotteri Osprey – ha fatto da sfondo all’evento.
A pochi metri dal raduno si aggirava il solito cretino – una macchietta di Naha
– che va in giro con un’auto sormontata dalle bandiere giapponese e americana,
altoparlante e una serie di poster pro-militari americani. Tutte le volte che
lo fotografo si nasconde la faccia con un ventaglio, ormai è diventato un rito…
Alle 4 in punto il
corteo ha imboccato Kokusai-dōri, la via dei turisti e dei negozi ricoperti di
souvenir pacchiani. Tutto molto ordinato, come sempre regolato dalla polizia
che ha fatto sfilare i manifestanti in un corridoio apposito. Come in passato,
la cosa che ho trovato più divertente è stata osservare i volti di chi incappava
nel corteo. Negozianti che si domandavano che diamine vogliamo. Turisti pure. I
più interessanti sono quelli di chi è evidentemente contro la mascherata e vota
Abe. Nessuna protesta, solo facce nere che girate dall’altra parte, come se
avessero annusato brutte puzze.
Il corteo, accompagnato
da un circo di musicanti assortiti, è terminato al piccolo parco prospiciente
la stazione Makishi del monorail. Lì,
dopo un po’ di musica ancora, si sono fatte chiacchiere, i bambini hanno
giocato, e poi tutti sono tornati alle loro faccende con l’idea di almeno aver
provato a fare qualcosa per migliorare la situazione della povera Okinawa,
ormai da troppo tempo laboratorio degli interessi di Tokyo e di Washington.
Alla prossima manifestazione, se Abe non mi manda al confino, ci sarò.