lunedì 29 luglio 2013

SAKAEMACHI IATAE MATSURI, LA FESTA È QUI



Uno dei luoghi che più amo a Naha è il mercato di Sakaemachi (http://sakaemachi-ichiba.net/), nel quartiere di Asato, a pochi passi da casa. Decadente, piacevolmente zozzo, pullula di negozietti economici dove scovare roba usata a prezzi politici. In zona abitano molti immigrati cinesi, che dopo il lavoro vi si ritrovano per cianciare rumorosamente. Qua e là qualche izakaya spettacolare, come il Boteruneku (‘Bottleneck’). Shisa matti, verdure buone ed economiche, molte oba-chan (le vecchiette con diversi –anta, un’istituzione di Okinawa) e perfino un bar che sulla porta ha il coraggio di esporre un cartello Off Limits to U.S. forces personnel, l’unico di questo tipo che ho visto in un paio d’anni da queste parti. Vicoli bui, qualche gatto randagio, pezzi di tonno fresco e mangiatoie per tutti i gusti e le tasche. Sigarette e un tipo che ha aperto uno sgabuzzino con una vera macchina da caffè espresso. Una ex cantante, ritiratasi dalla scene, ha un negozio folle di abiti coloratissimi e ninnoli a montagne, una vera collezione di orsetti di peluche che, però, non lascia fotografare al primo italiano che passa. Il suo negozio, ogni tanto, è il punto d’incontro per le donne oltre i cinquanta che amano cantare canzoni giapponesi della ‘vecchia scuola’ (tutte le volte che ci passio davanti e becco l’evento non posso fare a meno di ficcare il mio lungo naso lì dentro, estasiato). Il mercato è in una delle zone più veraci di Naha, dove con il calare delle tenebre alcuni scannatoi con lavoratrici a tassametro dalle molte lune aprano i battenti per avventori di una certa età e di una certa gradazione alcolica nel sangue.
















Shopping a parte, in estate - tra giugno e ottobre - Sakaemachi diventa una specie di succursale del Brasile, in salsa di Okinawa. Una volta al mese – l’ultima sabato scorso, di cui a seguire le immagini – il mercato ospita un matsuri infuocato, soprannominato ‘Iatae’ (specie di ‘catering’: alcune bancarelle offrono pappa veloce, barbecue e molto altro). Le star dell’evento sono le oba-chan rapper (ufficialmente Oba Rappers Live Show), un trio di signore stagionate ma con i cuori da dodicenni. A Naha sono più famose e amate di Abe-san, e non a torto. Una di loro è la ‘Daikon Lady’ (porta sempre uno di questi lunghi vegetali - http://en.wikipedia.org/wiki/Daikon - legato alla schiena mentre canta), un’altra veste l’abito tradizionale di Okinawa ma sul palco si agita meglio di una spice girl, la terza è in completo puro da rapper. Che cosa dicano nei loro testi mi è ignoto, da qui a parlare la lingua dei marziani la mia strada è ancora lunghissima (l’unica parola che so nella lingua di Okinawa è cibario, o giù di lì; nulla a che fare con la pappa, equivale al gambaro/gambate giapponese, forza!), ma è certo che quando le tre si esibiscono la gente di Okinawa perde letteralmente la testa.











Oltre all'esibizione delle Fantastiche Tre, il menù di sabato scorso è stato quanto più vario possibile: gli immancabili tamburi taiko





danze di Okinawa per bambini, 





un suonatore di ocarina di Budrio (! – mentre si esibiva ne ha fatta circolare una fra il pubblico, affinché la studiasse; alcune signore la toccavano come si toccherebbe la kriptonite), 







un domatore di coltelli (falcetti affilatissimi che ha fatto roteare attorno al proprio collo e inguine, uscendone incredibilmente vivo), 







un duo locale di giovani cantanti (Rise) davvero bravi (al cantante ho chiesto se era di Tokyo – mentre si esibiva l’ho trovato molto cool, se fossi una parrucchiera di Tokyo e non un italiano vero gnoccadipendente gli avrei concesso la mano -, e quando mi ha detto che è di Okinawa mi è caduto il mento per la sorpresa; da queste parti circola molta più maraglieria che coolness), 







un gruppo di ballerine non depilate nelle parti intime e dalle cosce grosse (sudate; un GRAN bel vedere), 










un tarento (istituzione giapponese: essere ibrido fra l'attore e il cantante, specializzato in nulla, se non nel prendere lauti gettoni di partecipazione a spettacoli televisivi per lobotomizzati) con il caschetto biondo e il pigiama (non so chi diavolo fosse, giù in parrocchia da piccoli uno così lo avremmo preso a schiaffi ogni domenica dopo la messa, ma le ragazzine nel vederlo erano in calore di brutto)







e, dulcis in fundo, un duo che ha infuocato il pueblo a suon di sanshin e ugole. L’intera galleria commerciale, incluso qualche gaijin, ha ballato la danza tradizionale di Okinawa, tutta polsi roteanti. In quel momento ho pensato che tutto ciò non aveva alcunché da invidiare ai cinque carnevali che ho passato in Brasile.