All’Haarii, ‘Dragon Boat Festival’ per i gaijin,
c’ero già stato tre anni fa, poco dopo essere atterrato a Okinawa. Tre giorni
di fatiche fotografiche (pioggia, caldo, umido, popolo, femmine porne, gringhi
a mostrar muscoli, cibi ammazzafegato, molto altro), ricompensate da un
programma fitto fitto. Una figata, insomma.
Quest’anno sono partito
in quarta, ansioso di fare il bis, anche perché durante le due edizioni
precedenti non ero a Okinawa (ero nel Paese di Genny e di Renzie). Però,
nonostante la mia buonissima volontà, la festa mi ha deluso. Forse perché la
prima volta non si scorda mai, ma forse (soprattutto) perché mi sa che quest’anno
il geniale governazzo locale ha tagliato i fondi alla festa per destinarli ad
altro (ipotesi: l’ampliamento dell’aeroporto, utile ad attirare ulteriori compagnie
low cost e turisti mordi-e-fuggi). La
pioggia, poi, incessante l’ultimo dei tre giorni – quello più importante, con i
rambi delle basi e con la vera gara tra le canoe dei quartieri di Naha (un po’
il palio di qua, ma senza toscani e senza cavalli azzoppati) -, ha dato il
colpo di grazia. Gara finale annullata, la stagione delle piogge è iniziata,
non so quando/se l’hanno posticipata o è semplicemente evaporata.
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Ciononostante, ho
cercato di fare il mio porco dovere fotografico, almeno per quella giornata e
mezzo in cui sono andato ad abbrustolirmi il cranio al festival (sole cattivo,
prima della pioggia cattiva). Per amore di sintesi, ecco i fatti di rilievo
dell’edizione di quest’anno:
- finalmente ho visto
da vicino il maggiore responsabile dell’abbattimento delle case
tradizionali di Naha per far spazio ai condominietti moderni: il sindaco di Naha, intento nella faticosissima pratica del taglio
del nastro e delle chiacchiere di circostanza al momento dell’inaugurazione.
- all’inaugurazione c’era
pure la mia miss locale preferita: ha un naso che comprerei a peso, tanto è
unico e rotondamente bello.
- quest’anno sono state
allestite tende/camere a gas per i fumatori, con tanto di reception guy all’ingresso; tutto sommato non una pessima idea,
quella di non impestare l’ossigeno pubblico.
- il sumo è stato, come
sempre, esaltante, soprattutto per la quantità di mammelle maschili che si sono
viste; ho notato capezzoli già noti dall’edizione di tre anni fa, qualcuno era
invecchiato, altri si erano squagliati.
- il wrestling matto
che avevo visto nel 2011 è stato sostituito da una miriade di attori comici
indigeni, volti noti per chi vive a Naha; uno ha imbastito uno sketch imitando i
gaijin che massacrano il giapponese, risate
faciline strappate al pueblo (appena
il mio Nihongo me lo permetterà imbastirò uno sketch imitando i giapponesi che
massacrano l’inglese).
- l’unica competizione fra
canoe degna di nota è stata quella disputata fra le terze medie; l’ho vissuta
un po’ in prima persona perché la squadra della figlia del mio amico Pietro 2
(il proprietario del ristorante Volare)
ha vinto; lacrime di gioia, è stato eccitante immortalarle. Poi, sempre assieme
a Pietro 2, abbiamo incontrato una sua amica che ha passato sei anni in Italia
e ancora parla un italiano discreto. Interessata al mio blog in italiano su
Okinawa, non aveva pezzi di carta su cui annotarne il nome: Pietro 2 glielo ha
tatuato a penna su un avambraccio.
- qua e là ho
incontrato miei ex alunni della scuola elementare Takara, dove ho insegnato
inglese fino a marzo; è stato molto piacevole rivederli.
- il secondo giorno,
non essendoci in pratica spettacoli, mi sono concentrato sulla fèscion da
giostrai che circola da queste parti; mi ricordava un po’ quella del corso
principale di Sciacca, che analizzai con adeguata curiosità antropologica da
serva anni fa quando andai a visitare mio nonno fuggito nel paesino siculo. Troie
vestite da troie, gente che spende lo stipendio dal parrucchiere, pigiami
randagi e piedi usciti da un film di Tarantino: ce n’era per tutti i gusti e
tutte le devianze. Una madre in stile ‘yellow
cab’ (le zoccole che marciano a top
gun) aveva vestito il suo bimbo di tre anni in mimetica completa, con bandiera
a stelle-e-strisce sul petto. Poi, per rimanere in tema di cultura autoctona, c’era
pure Captain America, lì a promuovere un film di supereroi cazzoni.
- l’unico elegantone
della festa era il mio amico Daisuman, con la sua immancabile bombetta. Assieme
abbiamo notato come il cibo spacciato facesse schifo. Abbiamo contato SETTE
stand attigui che vendevano esattamente la stessa melma (yakisoba incollata e annodata, patatine fritte/spugne d’olio, roba
da rifarsi il fegato a fine festival). L’unico cibo ‘alternativo’ (kebab di
pollo venduto da un vero turcomanno) aveva la fila di ggente davanti allo
spiedo.
Su Fèssbokk ho visto le
immagini di qualcuno che ha retto alla festa più di me e si è sorbito l’imperdibile
concerto dei Diamantes (una bandazza locale che clona gli stramaledetti Gipsy
Kings, con la stessa vociazza catarrosa nicotinica e le stesse schitarrate
zingare) e qualche fuochetto d’artificio umido di pioggia.
Mi sa che l’anno
prossimo ci torno.