Da quando qui a Naha sono
diventato un gattaro, in quanto stanchissimo di vedere le povere bestiole
finire sotto le auto o nella camera a gas di Ōzato, ho capito che la miglior
arma per combattere i suddetti nemici è la sterilizzazione dei mici randagi.
Meno gatti in strada = meno gatti piallati sotto le ruote/a Dachau (a scuola
ero bravino assai in matematica). Però, qui a Okinawa, nessuna autorità fino a
oggi ha affrontato il problema seriamente, se non varando qualche programma di
facciata (sterilizzare i gatti solo lungo Kokusai-dōri, la via-vetrina dei
turisti, ma solo perché a questi ultimi piacciono i mici) e di breve
durata/utilità pressoché nulla. Tutto, da quando sono a Okinawa, è sulle spalle
(e nelle tasche) dei volontari, Anime Sante di cui il pianeta sembra avere
sempre più bisogno. Quando, tempo fa, un amico americano ha varato il programma
TNR (Trap, Neuter & Return, ‘cattura,
sterilizza e libera’), se non le acque mi si è aperto almeno il cielo. Per cui,
anche se auto-privo, ho accolto la possibilità di partecipare a questo
programma come se fosse un pasto a base di figa benedetta.
Ieri, messo assieme un
A-Team (muà, la sempre fida Myu-san, l’amicona Tomomi, il compaesano Goya-san e
il giovane neozelandese Jasper; Satoka era a casa, piegata dal torcicollo per
overdose di danze a una festa della settimana scorsa), abbiamo stivato il
furgone di Myu – gabbie, scatolette di cibo per gatti, insalatona per noi,
guanti anti-graffi/dermatiti – e raggiunto, non senza perderci, Okinawa City.
Colà pulsa un parco grande più o meno come Central Park. Stanare il punto di
incontro dei volontari è stato il famoso sbocco di sangue (mi sono girato a
piedi mezzo parco con una gabbia sulla nuca), ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
In un edificio datoci gentilmente a disposizione dalla direzione del parco sono
state radunate grandi quantità di gabbie, asciugamani usati (per coprire le
gabbie: i mici catturati se al buio si tranquillizzano), pappe assortite e
molto altro. Tanti volontari, soprattutto donne giapponesi e americane (anche
qualche uomo e qualche cinno). Io e Goya a portare il tricolore (e formaggio e
taralli), Jasper la bandiera maori.
La prima fase è stata
quella della cattura. Il parco in questione ha una popolazione gatta elevata e
per questo motivo è stato scelto. Abbiamo iniziato a spargere gabbie qua e là,
di due tipi. Le prime per i mici addomesticati, facilmente avvicinabili a suon
di croccantini, vocine e carezze (il primo e unico gatto che ho catturato l’ho
truffato così), le seconde dateci dall’associazione che ha sponsorizzato il
programma (Doubutsu Kikin), vere e
proprie trappole per topoloni. Jasper ha girato un film d’azione su tutta la
faccenda, installandosi una videocamera sulla fronte. Attendo con ansia di
vedere il risultato. Essendo il neozelandese giovane (22 anni suonati), e
dunque dotato di occhi e riflessi molto migliori del sottoscritto alle soglie
della terza età, è stato il recordman
del nostro team: quattro gatti messi in saccoccia.
Alcuni mici non sono
fiessi, per cui avvistata la gabbia e annusate le pappe saporite (la più
efficace: acciughe odorosissime, ai limiti della putrefazione), hanno provato a
pranzare infilando la zampina attraverso le sbarre delle gabbie. I gatti erano
stati tenuti a stecchetto nelle ultime ore: l’organizzazione aveva disseminato
il parco di cartelli in giapponese e in proto-inglese avvisando la gentile
clientela gattara di non sfamare le bestiole, altrimenti chi sarebbe entrato
nelle trappole? I mici più fiduciosi nei confronti del prossimo sono andati con
tutto il corpo nelle viscere delle gabbie. Ma, essendo gabbie con la
sensibilità di un leghista, solo una fra quelle usate dal nostro gruppo ha
funzionato. Tutte le altre hanno fatto cilecca. Da ieri senz’altro la fiducia
dei gatti nei confronti dell’uomo in quel parco è scesa al minimo storico.
Prima dell’azione
abbiamo fatto il pieno di calorie con una piccola orgetta culinaria nell’ano
del furgone, a base di insalata, pane, panini, onigiri, tè al gelsomino e taralli e formaggio (bravo Goya e brava
la sua mamma che li ha spediti da Bulàgna). Ogni tanto qualche nonno che faceva
jogging nel parco ci chiedeva che cippa stessimo combinando, noi gaijini, con
tutte quelle gabbie. Io ho corteggiato inutilmente, a suon di croccantini e
poesie brevi, quasi futuriste, una micia sotto l’auto di un parcheggio. Mezz’ora
cronometrata di corteggiamento, andato a vuoto, dopo una serie infinita di
esco-non-esco. La diffidenza è spesso la salvezza dei gatti randagi, ma se a
volte se la dimenticassero non sarebbe poi così male. Alla fine la zoccola,
dopo un triplo carpiato di Goya sull’asfalto del parcheggio, è fuggita
rintanandosi fra gli alberi. Verso le sei di sera, stanchi e un po’ zozzi,
siamo rientrati alla base. Risultato complessivo a dir poco eccezionale: 52
mici in una sola giornata! L’organizzazione $ponsorizza la sterilizzazione a
120 gatti e il programma finirà venerdì (nei prossimi giorni ci tornerò).
Dunque siamo a buonissimo punto, anche se temo che ora rimangano
solo le prede difficili, le tigri più diffidenti. Il veterinario che opererà
tutta la tribù dovrebbe venire dopodomani e mettersi al lavoro di brutto. Nelle
sue mani il futuro di tanti mici, che gli dèi guidino le sue dita.