domenica 21 aprile 2013

AWAMORI, LO SPIRITO DI OKINAWA



L’awamori (泡盛) è il distillato di Okinawa, il più antico del Giappone. Venduto in bottiglie e in orci di terracotta, è prodotto secondo un’antica tecnica thailandese di fermentazione del riso, del grano indica e del fungo nero kōji. Le bottiglie più vecchie hanno prezzi da capogiro. A Okinawa ci sono circa cinquanta distillerie di awamori, fra cui la Zuisen (zuisen.co.jp). 






Sottoprodotto dell’awamori è l'Habushu (ハブ酒), anch’esso a fortissima gradazione alcolica. Tra quello venduto ai turisti - in particolare lungo Kokusai-dōri, a Naha - spiccano i grandi bottiglioni che contengono, oltre alla bevanda, uno o più serpenti Habu (波布, Trimeresurus flavoviridis, della famiglia delle vipere), velenosissimi. Si dice che sia un forte energetico e afrodisiaco. Prezzi spesso velenosi…




lunedì 15 aprile 2013

OKINAWA SOBA, IL PIATTO DI TUTTI I GIORNI



A Bologna tagliatelle al ragù, a Naha Okinawa soba (沖縄そ), nella lingua di Okinawa うちなーすば, Uchinaa Suba. Zuppa con noodle di grano (di diversi tipi, spessori, colorazioni, dal bianco al giallognolo), carne di maiale, alghe konbu (昆布), fettine di kamaboko (蒲鉾, specie di mortadella di pesce; sì, carne e pesce nello stesso piatto, ahimè...), scaglie di katsuobushi (鰹節 o かつおぶし, tonno bonito Katsuwonus pelamis, fermentato, essiccato e affumicato) ed erba cipollina. Noodle vagamente simili agli udon, in una zuppa vagamente simile a quella del ramen. Ogni isola dell’arcipelago, o quasi, sembra avere la propria soba, con noodle diversi. Più arrotondati nelle isole Yaeyama (http://unitalianoaokinawa.blogspot.it/2013/02/yaeyama-le-isole-ai-confini-del-mondo.html), più appiattiti nel resto dell’arcipelago, a volte con una forma molto simile alle nostre tagliatelle. La carne di solito è costituita da fettine di pancia di maiale bollite (san-mai niku, 三枚肉), oppure di sōki (ソーキ, costolette di maiale senza osso). A guarnire il tutto, a volte, qualche scaglia di beni shoga (zenzero sott’aceto). Gli amanti dei sapori forti vi aggiungono un po’ di kōrēgūsu (高麗胡椒, コーレーグース, ‘pepe coreano’), peperoncini piccanti conservati nell’awamori.
   

Variazioni della soba ‘classica’ sono la Sōki soba (ソーキそば), con un’aggiunta extra di costolette, e la Tebichi soba (てびちそば), con zamponi di maiale cotti a vapore, uno degli ingredienti più amati nella cucina di Okinawa. Come molte altre cose nell’arcipelago, la soba è giunta dalla Cina, circa mezzo millennio fa. E così il maiale, animale principe sulle tavole di Okinawa. All’epoca del regno di Ryūkyū la soba era considerato un piatto specialissimo, riservato solo alla casa reale. Quando l’arcipelago fu annesso al Giappone la proibizione di mangiarlo da parte dei comuni cittadini decadde. Mangiare soba a Okinawa, così come altro tipo di noodle in Giappone, è un’operazione non per orecchie delicate. I Giapponesi, che siano rudi membri della Yakuza o delicate signorine appena uscite dal parrucchiere. amano emettere sonori risucchi nell’atto di ingerire la soba. Tanto più è alto il volume del risucchio, tanto più si vuole comunicare che il cibo è gradito. I visitatori occidentali al primo Giappone, di solito, escono traumatizzati (nei valori, nell’educazione, a volte nell’udito) da un ristorantino di soba. Poi, con il tempo, ci si abitua (io, dopo un anno di Giappone, non ce l’ho ancora fatta, parlo per sentito dire).


Polemiche linguistiche e infinite sfumature anche in cucina, nel sempre sorprendente Giappone. Nonostante il termine soba significhi ‘grano saraceno’, la soba di Okinawa è fatta di solo e semplice grano. Negli anni Settanta, quando l’associazione di produttori di soba del Giappone regolarizzò la giungla di nomi che contraddistinguevano gli infiniti tipi di noodle nipponici (secondo la legge un noodle deve contenere almeno il 30% di grano saraceno per essere chiamato soba), Okinawa vinse il diritto di mantenere il marchio ‘Okinawa soba’ perché simbolo dell’arcipelago e della cultura locale, anche se di saraceno non aveva alcunché. Di conseguenza, se siete a Okinawa e siete confusi su questa materia (impossibile non esserlo), e volete mangiare noodle di grano saraceno, sul menù dovrete cercare la ‘Japanese soba’ (日本そば, nihon soba). Chiaro, eh?


(GRAZIE, Wikipedia. Se non ci fossi tu…).


sabato 13 aprile 2013

TA WATERFALL, IL PARADISO NASCOSTO



Nei pressi di Nago, nel Nord dell'isola maggiore di Okinawa, c'è un angolo di paradiso perduto, la cascata Ta. Ignota ai più, anche perché non ci sono cartelli che indichino come raggiungerla, regala un'immersione totale nella natura incontaminata. Non chiedetemi, però, come ci si arriva. Mi ci ha portato l'amico Tate-san, qui sopra raffigurato in un tentativo di suicidio. So solo che fuori Nago si imbocca (forse) una traversa della strada principale che viene da Naha, poi è tutto uno zigzag di stradine strette e tortuose. Lasciate l'auto nello spiazzo di sabbia e sassi che accede al fiume, poi camminate sui sassi scivolosi e lungo i sentieri alla sinistra, per circa mezz'ora. Se sarete fortunati sarete i soli a godere dell'idromassaggio naturale della cascata. Buona caccia al tesoro (se vi dico dov'è, che caccia è?)!










martedì 9 aprile 2013

È VERDE, MA NON È UNA ZUCCHINA



Uno degli ingredienti più caratteristici della cucina di Okinawa, tanto da esserne diventato uno dei simboli, è il Gōyā (ゴーヤー) o nigauri (苦瓜, in Giappone), ‘melone amaro’, ricco di vitamina C. Bitorzoluto, amaro, dal sapore vagamente simile alla zucchina (una volta fritto), il suo nome scientifico è Momordica charantia, angiosperma della famiglia delle cucurbitacee. 




Il nome Gōyā deriva dal linguaggio nativo di Okinawa, ma questo vegetale è diffuso nei paesi tropicali di mezzo mondo, soprattutto in Asia, Africa (è un ingrediente comune della cucina di Mauritius) e Caraibi, con nomi variabili da luogo a luogo (per esempio Karavella in India – molto diffuso a Goa -, termine derivato dallo sanscrito).
  






Al contrario della zucchina, molto più tenera, non è facile cuocerlo. A volte, le mani inesperte che per la prima volta cercano di friggerlo come una zucchina (per esempio: le mie) rischiano di consumare mezza bottiglia d’olio e mezza giornata con risultati degni del bidone della spazzatura. Le mani esperte, invece, sono capaci di cuocerlo al meglio, attenuandone il sapore amaro, magari ricavandone ottimo tempura (天ぷら o 天麩羅).



 

A Okinawa uno dei piatti più tradizionali è il Gōyā chanpurū (‘mescolone’, concetto quasi filosofico diffusissimo nell’arcipelago): shima-dofu (il particolare tofu 'duro' di Okinawa), uovo, germogli di soia, carne o pesce, tutto fritto nel wok. Quasi sempre accompagnato da pezzetti di carnazza Spam (un nome, un programma), prodotto inscatolato americano, estremamente salutare (…), importato dai militari dopo la guerra e che ha attecchito, ahimè, alla cucina locale.





Per saperne di più:





venerdì 5 aprile 2013

SANSHIN, OKINAWA IN MUSICA



Se c’è un suono che porta al volo la mente a Okinawa è quello dello sanshin (三線, letteralmente ‘tre corde’), specie di banjo con la cassa di risonanza ricoperta da pelle di pitone. Di origine antica, sembra sia arrivato nell’ex Regno di Ryūkyū (Okinawa) dalla Cina, dove ancor oggi è estremamente popolare lo sanxian. Per una volta, però, questo influsso culturale non giunse a Okinawa direttamente dalla Cina (o da Taiwan), bensì dal Giappone. Arrivato nel XVI sec. al porto di Sakai, a Osaka, lo sanxian si evolse nel più grande shamisen (三味線), da cui poi si è sviluppato lo sanshin di Okinawa.







In Giappone lo sanshin è noto con il nome di jabisen (蛇皮線, corde di pelle di serpente) o jamisen (蛇三線, ‘serpente tre corde’). In origine, per ricoprire la cassa di risonanza, si utilizzava il pitone birmano, ma le leggi di protezione dell’ecosistema oggi lo proibirebbero, per cui si utilizza anche il più comune pitone Reticulatus o la vipera locale Habu. A causa di questo ‘ingrediente’ naturale l’esportazione dello sanshin è proibita in alcuni paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.

 

 


Le tre corde, variabili in spessore, sono chiamate in ordine decrescente uujiru (男絃, corda ‘maschile’), nakajiru (中絃, corda intermedia), miijiru (女絃, corda ‘femminile’). Di solito sono bianche, ma nelle vicine isole Amami sono gialle e più fini, così da ottenere un suono più acuto di quello di Okinawa. Al posto del tradizionale plettro ricavato dal corno di bufalo d’acqua nelle Amami si usa un plettro ricavato dal bambù, mentre a Okinawa i musicisti meno tradizionalisti usano anche il semplice plettro da chitarra o l’unghia del dito indice, fatta crescere appositamente.

 




Nel Dopoguerra, quando Okinawa era poverissima, gli abitanti locali costruivano gli sanshin riciclando barattoli di latta per la conservazione di alimenti. Lo strumento così ottenuto si chiamava sanshin ‘kankara’. Oggi alcuni esemplari in latta sono costruiti per i turisti, venduti soprattutto nella galleria commerciale Heiwa-dōri. Visitare un negozio-laboratorio in cui si costruiscono veri sanshin, però, è un’esperienza unica e indimenticabile, una volta a Okinawa. Spesso capita che l’artigiano che li costruisce sia anche un ottimo musicista, di solito lieto di suonare qualche nota per il visitatore. Naha e i centri minori pullulano di piccoli negozi di questo genere, basta cercarli…




Begin, la musica dell’arcipelago
Nulla di meglio del gruppo Begin, originario dell’isola di Ishigaki, per ‘ascoltare’ Okinawa. Il simpatico cantante, Eishō Higa, coppola in testa e sanshin tra le mani, trascina le folle locali, a volte accompagnato anche da tamburi taiko. Tra le sue canzoni migliori: Sanshin no Hana e Shimanchu nu Takara.