martedì 11 marzo 2014

FUKUSHIMA, TRE ANNI DOPO


Un minuto di silenzio davvero toccante, oggi alle due e quarantacinque del pomeriggio, qui a Naha, Okinawa. Ero in un’aula della scuola elementare e stavo riordinando il materiale della mia ultimissima lezione – da domani libertà! -, quando il preside ha annunciato il momento di raccoglimento attraverso l’altoparlante. Ho visto i bambini di un paio di classi nel campo di calcio disporsi in direzione del Nord-Est del Giappone, dove tre anni fa avvenne il disastro. Alcuni in preghiera, altri in semplice silenzio. Un muratore che stava facendo dei lavori nell’edificio di fianco ha continuato come se nulla fosse, e io l’ho trovato terribilmente simbolico del Giappone di oggi, che vuole andare avanti ignorando il passato. Il Giappone che organizza delle olimpiadi ed esulta quando le ottiene, mentre sul territorio c’è ancora una centrale nucleare che per tre anni ha quotidianamente inquinato aria, acqua e terra, e continuerà a farlo per chissà ancora quando.

  
  


Tempo fa ho conosciuto un pittore della zona di Fukushima. Il suo modo per dare speranza a chi lo tsunami lo ha vissuto in prima persona è stato quello di decorare con colori vivi e felici i container in cui vivono ancora molte famiglie, mentre i progetti per i villaggi olimpici si moltiplicano avidi di sovvenzioni governative. Chi vive in quei container forse ha voglia di parlare del disastro, per capire e, magari, sperare che non accada mai più nulla di simile. 


Gli altri, quelli che il disastro lo hanno visto solo in TV, invece sembrano fare di tutto per ignorare la tragedia, come se fosse un buco nero di cui non vale la pena parlare. L’altro giorno ero nella sala dei professori e una collega mi ha domandato della foto che uso come ‘profilo’ della mia pagina Fèssbokk: quattro matte con una parrucca che saltano nel Museo del Manga a Kyoto. Quella foto la feci il giorno dopo la tragedia. L’evento – un meeting di cosplay – era organizzato da tempo e non ci fu disastro che lo fermasse. Ci volle un po’, qualche giorno, prima che le persone realizzassero l’entità della tragedia e indossassero gli abiti più adeguati del lutto nazionale. Da allora quell’evento è diventato, per i più, un argomento di cui non parlare. L’altro giorno, quando ho raccontato della mia foto, il silenzio è calato nella sala professori.

 

Faccio fatica a capire perché ogni anno si commemorino in pompa magna le vittime delle bombe atomiche – frutto della scelta scellerata del Giappone di entrare in guerra e di quella ancor più scellerata degli americani di lanciarle a guerra già vinta, solo per dimostrare a Russia e Cina che avevano i muscoli grossi, usando la popolazione giapponese come cavie -, e pressoché nulla venga fatto per commemorare le vittime di un disastro naturale, più ‘innocente’, come lo tsunami. Anche oggi qui a Okinawa, e così in molte altre province del Giappone, nulla o quasi è stato fatto per commemorare i morti. La bandiera a scuola era a mezz’asta, ma nessuno ha organizzato alcunché di pubblico per ricordare quel momento. Greenpeace Japan ha promosso una campagna mediatica per non dimenticare – soprattutto la follia di costruire centrali nucleari vicino al mare e, follia due, di volerle riattivare al più presto -, lasciando a ognuno di noi la scelta del modo migliore per farlo. Nella rete i messaggi abbondano, mentre in strada a Naha tutto è proceduto come se l’11 marzo fosse un giorno qualsiasi.

 

Tempo fa un amico che ha vissuto per anni a Tokyo ha deciso di trasferirsi con la famiglia a Okinawa. Quando è andato a comunicare il trasferimento presso l’ufficio della capitale gli hanno chiesto il motivo, e lui senza troppi giri di parole ha detto ‘radiazioni’. L’impiegato ha alzato un sopracciglio e, senza staccare gli occhi dalle scartoffie, ha chiesto al mio amico di seguirlo in un'altra stanza. Temeva che nell’altra stanza lo avrebbero preso a manganellate sulle rotule, ma invece si è trovato davanti un archivio gigantesco. L’impiegato ha aperto un librone e ha iniziato a spulciarlo, cercando una destinazione da dare al mio amico. ‘Le daremo anche un aiuto economico e diversi benefit per un paio d’anni. Unica condizione: non ne faccia parola con nessuno (io non sono nessuno)’. Sui libroni erano annotati i nomi di migliaia di persone, tutte fuggite in silenzio. Guai spargere la voce, si scatenerebbe il panico e l’ultima cosa che il governo giapponese vuole è la fuga in massa da Tokyo, motore economico del Paese. Quello stesso amico aveva avuto l’occasione di andare a Fukushima assieme a un giornalista. La doppia missione: portare un po’ di aiuti e ficcare il naso per vedere come stavano veramente le cose. Nel dubbio, i due si erano portati un contatore geiger italiano. Arrivati non senza peripezie in loco, lo hanno messo a confronto con un contatore made in Japan. Quest’ultimo non segnalava alcunché di anormale, mentre quello italiano era impazzito.

 

A questo punto, forse, visto il silenzio del governo, le olimpiadi-tappetino con cui coprire le radiazioni, l’unica speranza per la gente di Fukushima e del Giappone sono le persone come Taro Yamamoto, il solo parlamentare ad avere avuto il coraggio di portare l’attenzione dell’imperatore – consegnandogli direttamente una lettera a riguardo – sulla questione di Fukushima. Certo è che è frustrante vedere come questo bellissimo Paese sia ottusamente orgoglioso delle proprie scelte, a volte sbagliatissime. Anche se visto dalla lontana e vacanziera Okinawa. Il rischio è che Abe e amici trasformino il Giappone in un Paese di soli muratori che non si fermano mai per pensare, anche solo per un istante.




2 commenti:

  1. Caro Broccovich, sei forte come la verità...
    Ancora qualche report come questo, e avrò material sufficiente per un fumetto spaccaculi: mi stai facendo riprudere le matite... Insistimi sul tema radiazioni/reazioni. Qui non se ne sa un cazz.
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    Senti, sul mio schermo questo articolo lo leggo con difficoltà: ha un'interlinea striminzita, e le maiuscole toccano la riga superiore. Vedi un po'...

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  2. Caro Muà, Zzio sei? Se sì, perché usi nomi d'arte? Che tu sia Artista?
    In ogni caso credo di non avere grosse colpe per le tue interlinee impazzite striminzite, chissà, a me la tennica compiuteristica non ha mai entusiasmato granché. Eppoi toccare le Righe Superiori sa di fantascienza porna, non male. Facciamo acsé: tu inizia a rispolverare le matite, poi mi fai vedere le bozze, poi ti dico la mia verité su questo e su quello, ne verrà una Grande Storia che ribalterà la storia.
    Tuo Brokk

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