Gran bella festicciola,
ieri al Japan Institute of Culture &
Economics, la scuola dove per un po’ ho studiato giapponese. I suoi corsi
gratuiti per stranieri residenti in Giappone erano iniziati lo scorso agosto e sono
continuati fino a dicembre. Io ero partito in quarta per spezzare le reni
all’ostico Nihon-go, ma alla fine di
ottobre, quando ho iniziato a lavorare cinque giorni su sette alla scuola
elementare, ho dovuto abbandonare la Mission:
dopo lo sgobbo ero (e sono) distrutto, zero energie o neuroni residui da
dedicare ad altro. Però, tenendoci alla mia posizioncina in società, non mi
sono perso un loro party che fosse
uno. Occasione ghiotta per conoscere gente randagia come me di mezzo mondo,
oltre ad approfondire l’amicizia con alcune sensei
di enorme gentilezza e sensibilità. Prima fra tutti la SuperSensei Sesoko-san,
ideatrice e conduttrice suprema del corso. Ma anche l’amica Rumiko-san-chan,
giovane maestra dalla pazienza inesauribile (soprattutto con me), e molte
altre, tutte brave e volontarie (non retribuite per lo sbatti).
Per l’occasione ho
preparato una cofana di penne alle melanzane e rispolverato il tricolore con lo
stemma delle Repubbliche Marinare, scovato oltre un anno fa in un negozio
pulcioso di roba usata sotto casa. Non che io vada matto per le bandiere, ma
ieri si è rivelato quasi necessario, essendo il party una specie di edizione emigrante di Giochi senza Frontiere
(per fortuna non c’era Milly Carlucci). Appena sono arrivato abbiano tolto da
un pennone la bandiera sudcoreana (non c’erano coreani a protestare, e poi ho
brutti ricordi sui campi di calcio) e l’abbiamo sostituta. Le mie penne sono
finite in diciassette vasetti di carta, altrettante porzioni da vendere a 100
yen l’una. L’incasso è andato alla scuola per coprire le spese, ma i cuochi
come me hanno ricevuto tagliandi per 1000 yen da spendere, quindi tutti hanno
masticato felici e contenti. Sul tavolo delle pappe c’era di tutto: curry
indiano e strana roba birmana, una tortona salata di patate e pollo peruviana e
inquietanti uova tsaaietan di Taiwan,
ravioli nepalesi e cinesi cotti al vapore, ottimo stew dell’amico inglese Jon e involtini primavera filippini. E
molto altro. Non vorrei fare lo sborone, quella di ieri non era la sede per fare
la ruota da pavone, ma… le mie penne sono state le prime a finire. Ne ho
approfittato per farmi un po’ di pubblicità per il workshop di sbobbe nostrane
che ho tenuto oggi (ho pure raccattato una client essa, evvai).
All’appello c’era mezzo
mondo: Argentina e Perù, India e Filippine, Myanmar e Taiwan, Cina e Messico.
La Comunità Europea era rappresentata solo dal sottoscritto – unico girolamo
fra i presenti – e dall’inglese Jon. Purtroppo mancava Vera, amica belga che fa
cioccolata con lo yogurt buona da lacrimare (il reparto dolci ieri, basato solo
su uno sbobbone filippino a base di cocco e mochi,
si è rivelato deboluccio). Tutti hanno masticato come benne e io ho augurato buon appetito, in italiano, agli
acquirenti delle mie penne. Su una lavagna abbiamo scritto qualche frase nelle
nostre lingue, traducendola per gli ascoltatori. Poi alcuni si sono fatti
scrivere il proprio nome con i caratteri ‘strani’, come quelli indiani.
Qualcuno c’è rimasto male quando ha ‘scoperto’ che in Italia usiamo i caratteri
romani, non abbastanza esotici…
La peruviana Carmen ha
interpretato ben tre balli tradizionali scosciati del suo Paese, poi abbiamo
fatto un giochino abbastanza divertente. Ognuno di noi ha posto due domande (io
nel mio giapponese zoppicante) a cui bisognava rispondere sì o no. Le mie sono
state: 1) la pizza più consumata in Italia si chiama Mafia; 2) il nome del papa
è Berlusconi. In entrambi i casi il popolo ha saggiamente scelto il NO, ma un paio di filippine, tanto per
amore del bastian contrario, hanno optato per il YES. Qualche partecipante puntiglioso poi mi ha chiesto quali
fossero le vere risposte, e lì è uscito l’italiano che-ha-tagliato-i-ponti che
è in me. Sono riuscito a rispondere margherita
solo grazie al suggerimento di un’amica argentina. E sono riuscito a rispondere
Francisco, in arte Francesco, solo grazie al suggerimento
di un’amica indovinate di dove.
Fra i gadget di mezzo
mondo esposti nella scuola, oltre a una bella befana, tra i libri per bambini
ho scovato un bellissimo mini-libro intitolato Volpina va al mare. La storia non è esattamente Anna Karenina, ma l’ho
letto in italiano a una bimba di due-tre anni e, dopo traduzione mia e della
sua mamma, lo ha trovato molto divertente.
Qua e là ho incontrato diversi amici,
e ne ho conosciuti di nuovi. La festicciola si è conclusa con una breve e
commossa cerimonia di consegna dei certificati di frequenza agli studenti. Sono
rimasto davvero sorpreso quando è stato fatto il mio nome. Da quando ho dovuto
abbandonare il corso mi sono sentito in colpa, considerandomi il peggiore
studente del mazzo. Però i sensei
sono molto gentili e dotati di infinita pazienza nei confronti degli alieni,
per cui hanno stampato e plastificato pure per me un bel certificato in cui è riportata
nero su bianco la bugia secondo la quale avrei frequentato le SESSANTA ore del
corso. Mi sa che ne ho frequentate solo sei, ma se in futuro mi dovesse servire
per rinnovare il visto e qualche ufficiale particolarmente scrupoloso dell’Immigrazione
dovesse venirmi a sindacare questo dettaglio gli dirò (proverò a dirgli) che lo
zero in più è un errore di battitura, io non c’entro, eccheccazzo.
Verso le tre del
pomeriggio tutto si è concluso - una foto a un'amica filippina con un certo buon gusto per la fèscion e via -, poi sono emigrato con Tomomi e Noriko a un’altra
festa (dal mio amico americano Steve, per conoscere suo figlio di passaggio da
Okinawa e per l’ennesima overdose di formaggi buonissimi fatti dall’inglese
John; chiacchiere alcoliche a seguire sul cinema italiano del Dopoguerra, non
male). Poi Denis ci è venuti a recuperare, mi ha portato ottimo pecorino dall’Italia,
mentre sua moglie Tomoko è riuscita a prendermi una caraffa di Nutella canadese
tramite un aumma-aumma dei suoi in una base militare gringa. Io in cambio ho
dato loro un ombrello forse giapponese stanato nel mio negozio preferito di
ciarpame usato al mercato Sakaemachi. A Denis questi ombrelli piacciono molto,
io marcio più a formaggi e a nutelle. MA QUESTA È UN’ALTRA STORIA. Quello che
volevo dire, in realtà, era: ARIGATISSIMO Sesoko+Rumiko+tutte le altre sensei. La vostra presenza e il vostro
aiuto, anche se il mio giapponese è ancora allo stadio di quello di un bebè di
quindici giorni, ha illuminato la mia vita a Okinawa. A buon rendere!
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