Ieri sono stato,
assieme a Satoka e all’insostituibile Tatsu-san (senza il suo furgoncino
sarebbe stato impossibile), a raccogliere patate in un campo poco a sud di
Itoman. Satoka ci va ogni fine settimana, perché il coltivatore produce verdure
senza utilizzare alcun fertilizzante chimico né sementi assassine made in Monsanto. Lascia crescere le
piante in maniera del tutto naturale, più o meno come capitava all’epoca di
Adamo e di quella zoccola di Eva. Ieri, in più, la contadinata si è trasformata
in una specie di evento bucolico. Oltre alle famiglie con un sacco di bambini è
stato invitato il simpatico e corpulento chef delle trattoria Lamp di Naha. La
conoscevo già perché tempo fa, girovagando dalle parti di Wakasa, avevo
fotografato la sua insegna particolare (il ristorante era indicato come Torattoria, è noto che ai giapponesi due
consonanti di seguito stanno antipatiche e ci devono per forza infilare una
vocale in mezzo, Pietoro docet).
Appena lo abbiamo conosciuto Satoka le ha raccontato il mio aneddoto (mia
moglie è incapace di tapparsi la bocca, a volte), e lui si è fatto una gentile
risata dicendo di aver cambiato l’insegna, dopo essersi accorto dell’errore.
Grammatica a parte, il
cuocone era stato invitato per fare un minestrone da caserma con le verdure
raccolte in loco. Ha messo su una cucina da campo, con il fuoco protetto da un
muretto di mattoni. Mi ha raccontato di essere stato in Italia per un mese e
mezzo, e come gli ho detto che sono di Bologna ha esclamato ‘bollito misto!’. Mi
ha chiesto che differenza c’è fra minestra
e minestrone. Poi ha aggiunto che
il suo piano originario era di stare a Bologna solo tre giorni, ma appena ha
iniziato a infilare la forchetta qua e là ha deciso di rimanerci una settimana.
Bisogna che uno di questi giorni passi a trovarlo.
All’evento ha
partecipato anche una troupe televisiva, in effetti tutto ciò era molto carino
e inusuale. Satoka di solito va da ‘sto contadino ogni sabato: sgobba
raccogliendo le sue verdure, poi lui la paga con le medesime (il nostro frigo
esplode di insalate e cipolle e carote e cavoli). Ieri tutti si sono messi allo
sgobbo, ma essendo io ai primi giorni di libertà dopo cinque mesi di fatiche, e
così Tatsu dopo un anno di fatiche, abbiamo lasciato raccogliere le patate al pueblo e ci siamo cucinati una cofana di
penne al tonno nel furgoncino (Tatsu è attrezzatissimo per le attività da
campeggio) + insalatona del contadino. Da un lato a quell’ora avevo già una
fame da cinghiale incinto, dall’altra, se proprio devo essere onesto, non è che
confidi troppo nelle doti culinarie degli chef giapponesi in territorio
italiano.
Come altre volte, ho
dovuto rivedere i miei preconcetti. Il minestrone era molto buono (io lo avrei
fatto andare ancora un po’, ma per 500 yen in mezzo a un campo non si può mica
volere la Luna, no?), anche perché cosparso di parmigiano. Ho bloccato la mano
del cuoco prima che me lo avvelenasse di prezzemolo; chi fa cucina italiana
fuori dall’Italia non ce la fa proprio a evitare di assassinare i piatti con
quest’erbetta rompicazzi. Inoltre il piatto era accompagnato da un po’ di
figatine. Piccole fave semicrude con patate e pesto. Una verdurina viola a
stelle filanti non pessima. E, soprattutto, una miniporzione di cipolle ‘spalmabili’,
quello che a Bologna è il santo friggione, anche se quello di ieri era senza
pomodoro. Buonissimo.
A fine masticazione
Tatsu è collassato per primo in un coma digestivo, poi io, poi Satoka. Abbiamo
fatto a turno per un pisolino nel furgoncino, nonostante qualche mosca strappaminchia.
Poi, a fine festa, sono andato a salutare e ringraziare. Una delle
organizzatrici ha girato un filmetto non porno mentre stringevo la mano, salutavo
e chiacchieravo con il cuoco e il suo assistente. Ero l’unico gaijin del mazzo, per di più itariano
DOC, dunque l’animale esotico nel posto giusto al momento giusto. Alla prossima
orgia vegetale lo rifaccio.
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