Signore e Signori,
sono lieto di annunciarvi la nascita del mio secondo figlio bokkinawense.
La mamma si chiama Gino e la culla Amazon.
Questo il link alla versione Kindle:
Questo per la più pregiata versione cartacea
(tutte le mie più sentite scuse ai Sigg.ri alberi polacchi):
https://www.amazon.it/dp/1729242359
Che cos’è questa
roba
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Questa l'introduzione (per il resto, perfa, amazonatevi):
Che cos’è questa
roba
Questo libro
nasce dal blog e dalla pagina Facebook - in arte Fèssbokk - omonimi, nati nel
2012 (credo) durante qualche notte buia, tempestosa e noiosa. Allora moglie -
in arte Satoko, e allora non ancora moglie - mi consigliò di raggruppare i miei
post di odore turistico su Okinawa - in arte Bokkinawa - precedentemente
scritti per (1) promuovere il turismo sensuale italiano nell’arcipelago più
meridionale del Giappone dove per sbaglio ero finito l’anno prima e (2) magari
agganciare qualche cliente compatriota da scarrozzare in giro durante le
vacanze - in cambio, ovvio, di adeguato compen$o. Mi sono sempre fatto
influenzare dalle mogli, soprattutto per evitare coltellate alla gola in cucina
o nel sonno. Dunque, qualche tempo dopo il blog, inaugurai la pagina FB. All’inizio
si trattò di un semplice copia-e-incolla dal blog, in origine un contenitore di
articoli destinati alle riviste italiane di turismo, all’epoca in fase
terminale. Il blog, poi, si trasformò in una raccolta di fotogiornalismo e di eventi
legati alla mia personcina in terra okinawense: lezioni di cucina, feste
private e festival, italianate al sub-tropico, proteste contro le basi militari
americane, amore per i gatti ecc. Come tutti i blog, partì in quarta: post
frequenti e ricchi di sentimento. Come tutti i blog, nel tempo perse spinta.
Oggi vi pubblico qualcosa quando e solo se sono stato travolto da un evento
particolare, più o meno ogni morte di papa. I tempi della promozione turistica
sono tramontati da quando ho abbandonato l’idea che il sagace ente del turismo
locale potesse mai investire sul mediamente colto turismo europeo (via me),
anziché, come poi ha fatto, sul boscimano turismo di massa cinese.
In parallelo, ma
imboccando un’autostrada molto divergente, la pagina FB ha preso un’altra
piega. Lentamente si è trasformata in uno sfogatoio di piccole frustrazioni
quotidiane: quelle di un gaijin,
straniero, trasferitosi su Marte, a contatto quotidiano con i marziani. Ma
anche in un chiaccherificio da parrucchiera, perché in fondo il gossip dà sugo alla vita, nonostante
quello che ne dicano gli intellettuali nei salotti colti.Scrivere mi è sempre
fisicamente piaciuto assai, almeno da quando ho smesso di farlo come obbligo a
scuola. Trovandomi poi, spesso, solo e circondato da alieni, la pagina FB è
stata, in questi anni, una piccola ancora di salvezza nei momenti in cui l’atmosfera
rossa e priva di ossigeno di Marte mi toglieva il respiro.
Negli ultimi
periodi alcuni seguaci della fèss-pagina mi hanno chiesto perché vivessi a Okinawa,
se mi sta così stretta. Mi sono così trovato a dover dare spiegazioni. No,
signori, Oki non mi sta stretta. Se sono finito qua, dopo un quarto di secolo
di peregrinazioni fotografico-esistenziali in mezzo mondo, è anche perché ho
stanato quello che, per me, è il famoso meno-peggio. Distrutto nell’animo dalle
giungle precedenti in cui ho vissuto (Italia, Brasiu, New York, Goa),
soprattutto grazie al rumore delle scimmie che le popolano - ho orecchie
sensibilissime collegate direttamente a cervello, cuore e minchia, la mia
tolleranza per gli urlatori di cazziloro ai telefoni nei treni FS è da anni
sottissimo lo zero -, a Okinawa ho trovato un equilibrio fra vita produttiva
(nonostante i cinquantadue anni suonati sono ancora in pista), educazione media
degli indigeni (ma più passa il tempo più sto rivedendo la pratica) e pace
interiore (di recente in forte pericolo di disequilibrio). Oggi non saprei
quale altrove ipotizzare come piano B, per cui direi che ancora per un po’
razzolerò da queste parti, inshallah.
Il mio amore per
la chiacchiera, unito all’altrettanto forte amore per le puttanate, in questi
annetti mi ha fatto scrivere cosine che, come effetto collaterale, hanno avuto
quello di perdere qualche amico per strada. Gente incredibilmente permalosa, ai
limiti del meridionalismo più da cliché, stizzita per essere stata
momentaneamente il bersaglio di mie occasionali chiacchiere pubbliche cazzare, che
mi ha abbandonato come si fa con i cani negli Autogrill ad agosto. Forse, ogni
tanto penso, se li ho persi così facilmente non erano poi grandissimi amici, dunque
meglio averli perduti che coltivati.
Nel corso della
sua evoluzione, la pagina FB è stata sotto il costante attacco dei compatrioti
a caccia di piani B (lavoro, fuga dal Bel Paese, vita nuova su altri pianeti) e
di informazioni turistiche. Agli inizi portavo pazienza, in quanto da bimbo ho subito
addirittura la cresima. Poi, lentamente, venendo abbordato on-line da macachi
impazziti, che davano per scontato
che, in quanto fratello d’Italia, nel nome del santo Tricolore dovessi loro
spiegazioni/informazioni/salvagente, ho alzato gli scudi. Oggi rispondo solo a
quelli che prima mi spediscono triangoli di Parmigiano mai sotto il chilo; gli
altri, quelli che dovrebbero passare un quinquennio in un collegio svizzero
prima di essere abilitati all’utilizzo del computer, li dirotto al volo su un
link scritto a loro immagine e somiglianza, titolo: ‘Okinawa, istruzioni per l’uso’
(e poi ditemi che non sono gentilissimo). Nel corso del tempo, inoltre, sono
stato abbordato da psicopatici di natura assortita, bannati al volo. La vita è
troppo breve per ascoltare le minoranze rompi cazzi.
Dai primi
scritti su FB di Un italiano a Okinawa
a oggi una cosa non è cambiata: la capacità di moglie di lavorarmi ai fianchi, di
travolgermi con idee e progetti per un Futuro Migliore (?). Così, oggi al
ristorante, è tornata all’attacco, mi ha fatto il lavaggio del cervelletto, e
quando ho pagato il conto ho capito che, ancora una volta, aveva vinto lei. Il
libro s’adda fa. E qui sta. La mia speranza: che sia godibile anche da parte di
chi non mi conosce personalmente e non sia un fanatico di giapponesate.
Ovviamente dovrebbe essere più comprensibile da parte di chi conosce bene il
Giappone e, in particolare, Okinawa, ma spero che anche altri possano passarci
qualche mezz’oretta sotto il casco della parrucchiera senza sbadigliare. Per chi
è culturalmente nippo-privo, ho compilato un minuzioso glossario che troverete
in appendice (e poi ditemi che non sono gentilissimo).
La struttura di
questo libro è, si può dire senza rischiare di essere giudicati ineleganti, a
rutti. I fèss-post, in particolare, sono rime brevi, che sanno di digestione
accelerata a scartamento ridotto. Siate buoni e, soprattutto, elastici: mettete
voi l’UHU, fra un ruttino e il successivo, per costruire l’unicum nascosto. Ho provato a dare un’unità al tutto, raggruppando
diversi post per ‘famiglie’, anche se l’ordine cronologico con cui furono
originariamente scritti è andato a farsi benedire. Da questo puzzle sono stati
amputati gli scritti più noiosi, di informazione geo-turistica, così come quasi
tutti i post in inglese, datati, o i link a post altrui. Alcuni post sono stati
lievemente rimodellati, per (provare a) dare un senso al tutto e anche perché l’editing è un duro lavoro senza fine: non
importa quanti occhi passeranno allo scanner un testo o quante volte lo
rileggerai, ci sarà sempre qualche
refuso lì a rompere l’anima.
Amarena Fabbri
sulla torta: solo i lettori che avranno spaccato il salvadanaio per possedere
questo libro riceveranno in omaggio la strenna natalizia ‘24 ore’ che conclude il testo. Scritta apposta per il libro, non è
stata mai postata ed è ricca di sogni nel cassetto.
Un consiglio per
la lettura: trattasi di lungo polpettone di intenso peso specifico. Masticatelo
a piccoli bocconi, un po’ per volta, altrimenti rischierete di soffocare.
Potrebbe essere una lettura per iniziare la giornata, un trancio e non di più,
magari quando siete in seduta stampa prima di affrontare le fatiche quotidiane.
Solo così, forse, riuscirete ad arrivare all’ultima pagina.
Per chiudere in
bellezza, i ringraziamenti. A moglie-Satoko, per sette anni e più di lavoro ai
fianchi: senza di lei la mia Okinawa non sarebbe quasi esistita, e così questo
libro. All’amico Emanuello, buono-bravo-e-bello, che mi ha aiutato a partorire
questo oggetto dalle cosce di mamma Amazonia senza $venarmi. E all’amico Gino
Goya, da qualche anno compagno di merende bokkinawensi, bolognese come me (lui
di periferia, io dei nobili colli), con molti meno peli di me ma anche con
molti meno anni: senza di lui la mia vita su Marte sarebbe (stata) molto più difficile.
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