Il destino del Giappone, a due anni dalla tragedia
Vivendo a Okinawa,
negli ultimi due anni mi è capitato di incontrare molti giapponesi che vi si
sono trasferiti, a distanza di sicurezza dall’inquinamento radioattivo di
Tokyo, Chiba, Kamakura, Yokohama e di altri luoghi prossimi a Fukushima.
Perlopiù famiglie giovani con bambini piccoli, ma anche madri con figli (i
mariti sono rimasti a lavorare nelle città di origine). Ho pure conosciuto
persone che si erano trasferite a Okinawa prima del disastro, attirate dalle
belle spiagge e fondali dell’arcipelago. Fra queste Akiko, 25 anni, venuta a
Naha sei anni fa, per studiare e godere al tempo stesso della vita di mare.
Poco tempo fa Akiko ha deciso di trasferirsi a Tokyo, attirata dalla frenetica
capitale. “Non hai paura della contaminazione?”, le ho chiesto. “No”, è stata
la sua semplice risposta. “Ma sai che cos’è la contaminazione radioattiva?”.
“Mmmm… sì”. Quel suo ‘sì’ mi ha fatto capire che non aveva la più pallida idea
di che cosa si trattasse.
Da bravo europeo, sono
cresciuto con Chernobyl (nel 1986 avevo 21 anni e ricordo il timore per il
vento e le nuvole provenienti dall’Ucraina, il divieto di mangiare verdure a
foglia larga, i bambini contaminati ospiti delle nostre famiglie negli anni a
seguire), guardando Sindrome cinese o
The day after. A scuola, se ricordo
bene, qualche professore deve avermi insegnato un po’ di storia, a riguardo delle
bombe atomiche della Seconda guerra mondiale. Ricordo gli esperimenti nucleari
di Chirac a Moruroa, difesi da quel grande ambientalista che è Folco Quilici. E
il recente tentativo di provare a fare nuovi affari con il nucleare da parte
dei pasdaran di Berlusconi, per fortuna bocciato con il referendum. Come
cittadino europeo medio, dunque, ho fifa e coscienza dei pericoli dell’energia
nucleare, anche quando spacciata per ‘buona’. Pure nella migliorissima delle
ipotesi, e cioè che la centrale nucleare che ci siamo costruiti sotto casa non
esploda in seguito a terremoti o tsunami, rimane l’insormontabile problema
delle scorie radioattive. Solo i matti finlandesi sembrano non averne
cognizione: hanno la centrale più grande al mondo, e la densità demografica
finlandese è talmente bassa da permettere loro di affittare spazi agli altri
Paesi nuclearizzati per buttare le immondizie radioattive nelle viscere della
terra di Finlandia. Pazzi scandinavi a parte, quindi, ho l’idea che chiunque al
mondo che abbia più di cinque anni e sia andato un minimo a scuola dovrebbe
temere il nucleare. Giapponesi in primis,
dopo Hiroshima e Nagasaki. E invece…
Il sistema educativo
giapponese, come è noto, è forse il più rigido al mondo. Gli studenti vengono
traumatizzati fin dall’infanzia a studiare esageratamente e con un’infinità di
regole ferree. Dalle scuole giapponesi, però, non escono persone
eccezionalmente colte, ma persone bravissime nella tecnologia ed eccezionalmente
introverse, portate al suicidio, alla nevrosi e alla depressione. L’istruzione
giapponese è tutta rivolta su se stessa, guarda quasi esclusivamente al proprio
ombelico, alle questioni interne, pochissimo a quelle esterne. Dalle scuole
nipponiche escono laureati che, nonostante abbiano studiato l’inglese per anni
– di solito da insegnanti giapponesi che lo parlano poco e male -, non sono in
grado di pronunciare un’intera frase nella lingua di Shakespeare. “Ma… a scuola
non hai studiato di Nagasaki e di Hiroshima?” un giorno ho chiesto, incredulo,
a Yuko, un’amica di trent’anni rifugiata a Naha da Tokyo. Mi aveva appena detto
che fino al disastro di Fukushima non sapeva nulla dei pericoli del nucleare.
“Sì, abbiamo studiato, sui libri c’erano delle foto di vittime delle bombe. Ma
erano una cosa del passato, della guerra. Non della vita reale’.
Neuroni personali a
parte, il sistema economico e produttivo giapponese del Dopoguerra, in simbiosi
con quello politico, è stato eccellente nell’inculcare un messaggio nelle menti
dei cittadini giapponesi, utilizzando la Madre di tutte le Fogne, la TV. Con
una lenta, capillare opera di propaganda, gli affaristi del nucleare e i loro
picciotti al governo hanno convinto i più della dicotomia ‘nucleare da bombe
cattivo/nucleare per l’energia buono’. Gran parte del boom economico giapponese
(ormai cosa del passato) si è sorretto proprio sulla possibilità di produrre
energia a costo relativamente basso: fatto l’alto investimento della
costruzione delle centrali, l’approvvigionamento energetico è risultato
economico e ha permesso alle industrie di fare fortuna. Le ultime generazioni
sono cresciute con il lavaggio del cervello televisivo, convinte fra la
pubblicità di un’auto e uno spettacolino di intrattenimento per lobotomizzati
tutto veline e risatine, che il nucleare faccia bene. Che sostenga la nazione. La
bandiera è sempre stata sullo sfondo di queste campagne nazionalistiche, utile
a coprire con il suo sole rosso gli affaroni delle grandi aziende che producono
il nucleare. E la bandiera, soprattutto in Giappone, non si tocca.
Yuko non è stata
l’unica persona che ho conosciuto e che mi ha detto di non aver saputo nulla
del nucleare fino al disastro di Fukushima. Ne ho incontrate parecchie, e ogni
volta che è successo mi è caduto il mento per la sorpresa. Su uno sfondo di
ignoranza generalizzata e pilotata, dunque, vediamo come il Giappone ha
‘assimilato’ la tragedia, due anni dopo, e quale futuro si prospetta. Alcune
grandi compagnie giochicchiano alla costruzione di robot ipertecnologici per
entrare nella centrale implosa e ripulirla dalle scorie. La dura realtà, il dato
fondamentale, è che a due anni dallo tsunami nessuno è ancora riuscito a
mettere un tappo sulla centrale devastata. E che come tale continua a inquinare
acqua, aria e terra. Ciononostante, il sistema-Giappone ha avviato una campagna
da kamikaze nei confronti della propria popolazione per far risorgere
Fukushima, un tempo regione collinare bellissima. Le macerie radioattive,
anziché essere lasciate nella zona contaminata, sono state sparpagliate in
mezzo Giappone, a volte incenerite e trasformate in asfalto per le strade. Se
prima, dunque, c’era la certezza che solo le persone della regione si sarebbero
ammalate di cancro, ora c’è il forte dubbio che l’intero Giappone possa
ammalarsi. L’agricoltura e l’allevamento locali sono sostenuti da una campagna
nazionalista senza precedenti tesa a far consumare i prodotti di Fukushima
nell’intero Paese. Testimonial-kamikaze, come Otsuka Norikazu, il presentatore televisivo
che pochi giorni dopo il disastro mangiò verdure di Fukushima in diretta (poi
ammalatosi di leucemia), oppure Yusuhiro Sonoda, il politico di governo che bevve
pubblicamente l’acqua della centrale devastata, sono esempi estremi e kitsch dell’autolesionismo
nazionalista nipponico. C’è addirittura chi organizza escursioni turistiche
nella regione, per risollevarne l’economia…
Dopo il disastro, il
governo si trovò fra le mani una rogna non facile da risolvere. Evacuare
l’intera regione – Tokyo e i suoi 35 milioni di abitanti, più altre grandi
città, facendo collassare l’intero sistema produttivo giapponese -, oppure far
finta che nulla fosse successo. Fu fatta la seconda scelta, senz’altro quella
meno impegnativa, almeno nel breve periodo (quando il cancro aumenterà
esponenzialmente, però, se ne pagheranno le conseguenze). Ricordo di aver visto
in TV il primissimo rilevamento della radioattività della zona subito attorno
alla centrale. Fu fatto TRE MESI DOPO lo tsunami. Non dopo tre ore… A volte mi
sembra di vivere tra i marziani. Sora Natura, ovviamente, sta reagendo alla
follia dell’uomo (della TEPCO – la compagnia energetica proprietaria della
centrale devastata, assolutamente inadeguata a gestire la crisi e a prevederne
la portata - e dei sui attaché in parlamento). La signora Nohara Chiyo,
ricercatrice dell’Università di Ryukyu (Okinawa), oggi ha reni a pezzi e gambe
gonfie quali postumi delle sue ricerche sulle farfalle di Fukushima. Ricerche
che la medesima ha voluto tenere quasi segreti – non voleva creare il panico,
facendo pensare l’ovvio ai giapponesi, e cioè che se le farfalle si ammalano
anche gli umani possono farlo -, ma che sono comunque finiti sui media
dell’intero mondo. Farfalle con occhi e ali deformi, storpiate come alcuni bambini
di Chernobyl. La sua ricerca è stata seguita da quella più recente sui conigli.
Bellissimi coniglietti bianchi, quelli di Fukushima. Che, però, iniziano a
mostrare un ‘lieve’ difetto di fabbricazione: alcuni di loro nascono senza orecchie.
Chi non è morta di
sonno né di TV è la signora Ruiko Muto, oggi leader della protesta antinucleare
giapponese. Pasionaria del No nukes nipponico, ma con stile da
regina. Donna estremamente garbata, come solo alcune donne giapponesi sanno
essere (nessun urlo grillino, per intenderci), ma con le idee chiarissime,
cristalline. Muto-san è decisa a portare davanti alla giustizia il governo
giapponese e i suoi amichetti della TEPCO. Ex maestra in pensione, stava
vivendo il suo buen retiro fra i
boschi di Fukushima, dove aveva aperto un caffè eco-gentile (tutto pannelli
solari), quando le centrali hanno impestato l’ambiente. Ha dovuto abbandonare
tutto ciò che aveva, ma, al contrario di molti suoi concittadini, ha deciso di
reagire. Di non assopirsi nel coma che ha anestetizzato la maggioranza dei
giapponesi dopo il disastro. Una specie di Gandhi al femminile, armata solo di
altoparlanti e striscioni, ha raccolto migliaia di firme contro gli scellerati
del governo. Ha organizzato due gruppi di persone, il primo di circa 1300
abitanti di Fukushima, il secondo grande dieci volte tanto di gente dell’intero
Paese seriamente intenzionata a far sentire la propria voce e a far valere i
propri diritti. La signora Muto sta tenendo conferenze nell’intero Giappone per
far conoscere i pericoli del ‘buon’ nucleare e svegliare il Paese dalla
sonnolenza.
La signora Muto ci ha
aggiornato con notizie fresche dalla regione contaminata. I ‘ripulitori’, in
pratica manovali che accumulano sabbia, terreno e macerie radioattive a
badilate, riempiono grandi sacchi laddove il terreno è sufficientemente ampio
da permetterlo, interrandoli invece fra le abitazioni prive di grandi giardini
e destinate a essere nuovamente abitante. Non è chiaro dove finiranno i sacchi
(non escludo per asfaltare la strada sotto casa mia). Quando su dieci case è
stata ‘decontaminata’ la decima, la prima è già contaminata di nuovo. In un
villaggio il sindaco è riuscito a far trasferire tremila persone, ma solo con
la promessa di riportarle indietro appena possibile. All’interno della Daiichi – la centrale nucleare
disastrata – in febbraio ottanta ‘ripulitori’ sono fuggiti, abbandonando il
lavoro, perché il livello di contaminazione era divenuto nuovamente
pericolosissimo. Greenpeace Japan è riuscita a entrare nella zona contaminata
per effettuare controlli, dopo aver lottato a lungo contro le pastoie
burocratiche i paletti posti dal governo. Quando ha fatto i rilevamenti, però,
in zone prestabilite dalle autorità, le medesime zone erano state ripulite ad hoc poco prima. C’è anche il forte
sospetto che la TEPCO, in occasione di quei rilevamenti, vi abbia installato
macchinari utili a ridurre i valori registrati sui contatori geiger di
Greenpeace. Insomma, copertura del disastro a 360°.
Le macerie contaminate,
se bruciate, fanno crescere il valore della radioattività in maniera
esponenziale. Anche qui, però, i furboni che si occupano della ‘pulizia’ hanno
scovato uno stratagemma. Le regole internazionali in materia impongono che in
una zona non vengano bruciati più di 200 chili di materiale contaminato in un
solo giorno. Chi si occupa della ‘bonifica’ ne sta bruciando 199 alla volta… A
una recente convention internazionale fra i Paesi produttori di energia
nucleare della regione è stata proclamata, guarda un po’ che sorpresa, la ‘non
pericolosità dell’energia nucleare’. Tra i Paesi firmatari il Giappone,
nonostante Fukushima. L’unico Paese che non ha sottoscritto la dichiarazione:
le Isole Marshall. Il cancro alla gola nella regione contaminata è notevolmente
aumentato, così come accadde nel dopo-Chernobyl. Allora ci fu una
mini-generazione di bambini con malattie alla tiroide. Qui in Giappone li
stanno aspettando.
Può essere interessante
un ipotetico confronto fra l’Italia e il Giappone, nel caso da noi fosse accaduto
un disastro simile a quello giapponese. Da noi almeno mezza popolazione avrebbe
fatto le valigie e visitato lo zio d’America (Brasile, Australia ecc.) al volo,
per rimanerci in pianta stabile. Il governo sarebbe caduto dopo un quarto d’ora
e la gente sarebbe scesa in strada a lanciare tutto ciò che è possibile
lanciare e che faccia molto male in direzione di qualunque divisa che anche
solo vagamente rappresenti un’istituzione pubblica. Le centrali nucleari
sarebbero state spente all’istante e chi gestiva quella esplosa sarebbe stato
destinato a vivere il resto della propria esistenza dietro le sbarre (dopo
qualche annetto di lungaggini processuali, ça
va sans dire). Sulla scena del disastro i sopravvissuti si sarebbero
lasciati andare come melodici napoletani impazziti, interpretando l’intero
circo della gestualità tragica italiota. In Giappone le vittime hanno fatto la
fila, in silenzio, al più piangendo, per ricevere i soccorsi, cercare i propri
cari fra le macerie. In Giappone chi protesta contro il nucleare lo fa con ordinati
cortei che non invadono il traffico delle strade e con cartelli su cui chiedono
PER FAVORE di smetterla con il nucleare. Niente cubi di porfido, come forse
qualcuno si meriterebbe.
Personaggio inquietante
di tutta questa storia è Shunichi Yamashita, scienziato medico cattolico
dell’Università di Nagasaki. In passato difensore dell’antinuclearismo, dopo
Fukushima ha interpretato uno spettacolare voltafaccia e oggi è diventato una
specie di portavoce del governo in difesa del ‘buon’ nucleare, arrivando a
dichiarare che il territorio di Fukushima è sicuro e i suoi prodotti
commestibili… In parallelo, senz’altro una pura casualità, ha fatto carriera. I
senatori in vendita non sono solo una piaga italiana. Altra figura di rilievo
per il futuro del Giappone è il ‘nuovo’ primo ministro, Shinzō Abe, ripescato da un precedente governo e forte
sostenitore del nucleare. A breve si teme la riapertura delle centrali nucleari
che erano state chiuse dopo il disastro di Fukushima. E la compagnia energetica
di Okinawa, unico territorio del Giappone a non avere centrali nucleari,
scalpita per averne una.
Un anno fa, qui a Okinawa, si tenne una toccante cerimonia
commemorativa del disastro (il Tinadowa Festival di Nago, http://pietrotimes.blogspot.jp/2012/03/giappone-fukushima-un-anno-dopo.html). Oggi, 11 marzo, a due anni, i più sembrano
essersi dimenticati ciò che è successo e, soprattutto, del costante pericolo
che il Paese corre, fra terremoti, tsunami e centrali nucleari disseminate un
po’ dappertutto lungo le coste. Tant’è che nessun organo ufficiale, almeno qui
a Okinawa, ha organizzato cerimonie in ricordo delle vittime. Domenica mattina
si è tenuto un mini-corteo lungo Kokusai-dōri, la via principale di Naha,
organizzato dalla New Japan Women’s Association. Le donne dell’organizzazione,
nastri fucsia ai polsi o al collo, hanno raccolto firme contro l’energia
nucleare. E ai singoli cittadini, ora, non rimane altro che una protesta
simbolica e silenziosa. Spegnere le luci, per un’ora, stasera. Così da
ricordarci, tutti, da dove proviene l’energia che accende le nostre lampadine.
un ottimo servizio di Sky TV sulla centrale di Fukushima a due anni dal disastro:
http://video.sky.it/news/mondo/giappone_fukushima_apre_le_porte_ai_giornalisti/v152634.vid?fb_action_ids=10200614015703507&fb_action_types=og.recommends&fb_source=other_multiline&action_object_map={%2210200614015703507%22:223040481169384}&action_type_map={%2210200614015703507%22:%22og.recommends%22}&action_ref_map=[]
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Yamamoto Tarō (山本 太郎) è un famoso attore giapponese, attivamente coinvolto nel movimento antinucleare dopo il disastro di Fukushima. Da quando ha iniziato a occuparsi di 'propaganda antinazionalista' (evitare al Giappone di morire di radiazioni) non gli offrono più lavoro. Ma, da bravo Yamamoto, se ne sbatte. Ora prosegue ila sua battaglia in politica.
Membri nuclearisti della Fèssbokk-community 'Itarians', cercate lavoro in Giappone? Ho trovato quello che fa per voi. Non fate altro che sostenere che il nucleare fa bene, dunque questa offertona fa per voi. L'annuncio sotto riportato è stato pubblicato poco tempo fa su un giornale della comunità nissei/nikkei brasiliana, presumo che prendano anche gli itarians, purché motivati. Il lavoro del secolo è quello di rimescolare la merda radioattiva di Fuckushima, suppongo per spargerla attraverso l'intero Giappone, come da piano socio-economico di Abe per l'equa condivisione della sfiga all'ombra della bandiera che sventola con il Fuji-san sullo sfondo. Le condizioni offerte non sono da buttare, potete scegliere fra due opzioni. La prima prevede un compenso di 30.000 yen (223,2763 euro) al giorno per appena due ore di lavoro, entro un raggio di 20 km dalla centrale nucleare sverginata (vi saranno trattenuti 1750 yen per i pasti). La seconda proposta è di un salario tra i 10.000 e i 12.000 yen (75-90 euro) al giorno, vacanza la domenica, alloggio in un locale sicuro e ben tre pasti GRATIS al giorno. Non male, eh? Chi altri - a parte i pusher - vi offre condizioni così invidiabili in favela/a Scampia oggigiorno? Vabbè, se siete poco creativi c'è pure una terza offerta, noiosetta, roba da ragionieri: potete costruire ponti a Kyoto e a Wakayama, 2000 yen (15 euro scarsi) al giorno + tetto sulla testa + tre pasti al dì. Se qualcuno accetterà questi lavori e poi sopravviverà oltre il tempo che ci vuole a fare un vaglia postale è vivamente pregato di versare il 10% del compenso sul mio conto (mandatemi un messaggio privato, vi do il numero).
BUON LAVORO!
Bellissimo post^^
RispondiEliminaDx
GRAZIE!
RispondiEliminaÈ un disastro, e come al solito i poteri economici vincono. Una domanda: a tuo parere il territorio marittimo e non ad Okinawa è veramente così sicuro? Grazie Lisa
RispondiEliminaNon saprei, non ho gli strumenti scientifici per verificarlo. Certo è che a Okinawa esistono molte altre forme di contaminazione: i mezzi militari (americani e giapponesi) in costante esercitazione, il cemento sparso a pioggia che sta distruggendo tutto per costruire alberghi per cinesi, ecc... Un panorama desolante.
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