Circa una settimana fa
siamo usciti di casa, io e mia moglie, per andare a comprare un cappello
antifrittura (del cranio). Anziché con il cappello, siamo tornati a casa con un
gatto. Un microgatto, per l’esattezza. Stava attraversando una strada nel
quartiere di Yorimiya, dove viviamo, e l’ho raccolto poco prima che diventasse
pelle da custodia per copertoni. Miagolava di brutto, zero madri in giro
(abbiamo passato allo scanner tutto il vicinato, senza esito), una fame da
neonato. Doveva avere un paio di settimane. Sesso sconosciuto, ci è sembrato un
maschio, l’ho chiamato Kittyno. Cazzo facciamo? È la domanda che mi sono
chiesto cento volte. Prima lo abbiamo portato a Yogi Park, sotto casa, dove
vegeta un battaglione di mici randagi. Il giorno prima avevo visto una madre
con un cucciolo, forse avrebbe adottato il nostro. La famiglia abitava in un
canale che porta alle fogne e qualcuno si occupava di loro, come testimoniava
qualche scatoletta lasciata nella tubatura. Appena vi abbiamo depositato il
mini-neko il potenziale fratello
maggiore gli ha soffiato con aria minacciosa, e la potenziale madre adottiva si
è ritirata all’interno del canale. Abbiamo provato a piazzarlo a un’altra
gatta, nera e prossima a partorire, nella speranza che… altro soffio. Allora ho
capito che le situazioni in cui una madre gatta adotta cuccioli di tigre
siberiana o di cinghiale sono solo fantascienza da giornali, ma che nella vita
vera l’amore materno si limita al cortile di casa propria. Cazzo facciamo 2?
‘La gattara di Heiwa-dōri!’,
mi ha suggerito Satoko, mia moglie. Nella galleria commerciale di Naha,
infatti, c’è una dolce vecchietta che, fra ristoranti e negozi, gestisce un
rifugio per mici. Le abbiamo depositato il nostro fra quelli già insediati lì,
MOLTO più grandi, con una ciotola di latte per gatti neonati. Io avevo già
inforcato la bici per la fuga, ma Satoko è rimasta a vedere se il micino si
ambientava, così la gattara è uscita e l’ha beccata sul luogo del delitto.
Domande a raffica, tendenti all’incazzoso. Sono tornato indietro. Fra le
lacrime Satoko le ha spiegato la situazione – ‘Non possiamo prenderlo, ne
abbiamo già uno e l’appartamento è grande come la cella di un sommergibile’ -,
finché non abbiamo ottenuto un ‘Ok, ve lo tengo per il fine settimana, ma
lunedì le dovete trovare un altro alloggio’. Prima di mandarci via, la
vecchietta ci ha insegnato come sfamare un micino di quelle dimensioni (mi
stava nel taschino della camicia), con biberon e latte in polvere.
Lunedì siamo tornati a
recuperare il micino e, previa telefonata, lo abbiamo portato al nostro veterinario.
Al telefono avevo capito che il dottore si sarebbe occupato di tenere e
piazzare il micino, ma una volta nel suo ambulatorio si è rivelato un
mercenario prezzolato a tassametro. Visto che io vivo di ossigeno e amore, e
che il denaro è per me un’entità sconosciuta, mi sono potuto permettere di pagare
l’hotel per Kittyno solo per un paio di notti. Poi… cazzo facciamo 3? Davanti
al panico di mia moglie, ho dovuto chiamare la cavalleria: i suoceri. Hanno
preso un aereo da Kamakura e ci hanno raggiunti, così da gestire la spinosa
situazione tutti assieme appassionatamente. Finito il bonus dal veterinario
mercenario abbiamo traslocato Kittyno a casa, dove il sottomarino ha visto all’improvviso
raddoppiata la propria popolazione: da 2 adulti e 1 neko a 4 adulti e 2 neko.
Satoko ha allestito un
ottimo recinto per il nuovo arrivato, mentre la micia Tabi, di solito regina
della casa, si è fatta prendere da una crisi di gelosia. Tanto che alla notte è
fuggita da casa. Crisi di panico, a cercarla fra le tre e le quattro del mattino,
senza trovarla. Per poi risvegliarsi alle sei e trovarla al posto di sempre,
sul balcone. Aveva infilato la porta aperta – nel sottomarino fa un caldo
allucinante, con la porta chiusa si soffoca – e avuto la sua prima wild night nel Far West del Mondo di
Fuori, per fortuna tranquillo e con poche auto randagie. Siamo così
sopravvissuti fino a ieri, domenica, quando Satoko ha scovato Dio, o giù di lì.
Dio, per me questo fine settimana, ha preso il nome di Cherubims, un’associazione
di volontari che si occupa di accudire e dare in adozione gatti e cani randagi.
Che il loro Nome sempre sia lodato.
Ieri, noleggiata un’auto
e caricatala con tutte le pappe e gli accessori di cui un microgatto può avere
bisogno, siamo andati a Chatan, una delle cittadazze cresciute alla
cazzo-di-cane, con tutto il rispetto per il cane, attorno alle basi militari
gringhe. Lì, davanti al megahotel The Beach Tower Okinawa, ogni domenica dall’una
del pomeriggio alle sei, gli angeli di Cherubims allestiscono due tendoni: uno
per i cani e uno, più affollato, per i gatti da dare in adozione. Ci hanno
accolto amichevolmente e Kittyno è stato traslocato in una delle loro gabbie. Era
il più piccolo degli ospiti, anche perché di solito i micini devono passare
circa due mesi prima di venire dati in adozione. Come tale (più piccolo = più
bello) è durato solo dieci minuti nella gabbia.
Un santo ragazzino che
vive a Uruma City, con genitori appresso, lo ha avvistato al volo. Se n’è
innamorato e dopo un po’ di PR da parte di Satoko (un’ottima venditrice)
Kittyno è stato piazzato. La nuova famiglia ha già un gattino e un cane, dunque
sono seguaci di San Francesco, e questa è una garanzia per il futuro del nostro
microgatto. L’associazione ha fatto firmare a loro e a noi l’atto di cessione.
Il padre del ragazzino che lo ha adottato ha dovuto sigillare il contratto con
tanto di impronta digitale a inchiostro rosso, manco avesse comprato una nuova
casa.
Foto di gruppo quale prova del fatto compiuto, 1000 yen all’associazione da
ambo le parti (spiccioli, considerando i costi delle pappe e il loro
sbattimento), tutti felici! A parte noi. Cioè, felici, ma disperati. Satoko è
tornata a casa piangendo come una fontana, io ho tenuto le lacrimucce negli
occhi solo perché in Giappone gli italiani hanno fama di machos e io non sono
venuto fin qui per sfatare miti. Kittyno, però, ci manca. Cazzica, se ci manca.
Buona fortuna, Super Gattino!
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