Alcuni di voi si
chiederanno come mai uno che viene dalla città delle 3T sia finito a Okinawa.
Ecco,a grandissime linee, la mia piccola odissea.
Quando, oltre due anni
fa, ci fu il terribile terremoto/tsunami, ero a Kyoto, in procinto di andare a
Tokyo. Appena nella guest-house si
seppe di Fukushima ci fu un fuggi-fuggi di massa dei gaijin, francesi in prima linea (hanno il nucleare, sanno di quale
rogna si tratti). Ero al mio primo Giappone, il sogno di una vita, dunque ci
voleva più di un disastro nucleare per smuovermi dal mio progetto di viaggio. E
poi a Kyoto mi sentivo relativamente sicuro, a una distanza sufficiente dall’orrore.
All’ostello si stava abbastanza bene, nonostante lo staff avesse la mania di
fotterti/mi i cibi dal frigo. C’era un viavai molto internèscional, sembrava un
porto di mare. Una sera, mentre cucinavo, sentii qualcuno parlare in
portoghese. ‘Mario, piacere. Sono mezzo brasiliano e mezzo messicano’.
Diventammo amiconi in mezzo minuto. Lui aveva ventidue anni, meno della metà
dei miei. Di bell’aspetto, con un fisico palestrato, faceva surf e karate. ‘Ero
a Tokyo, quando è scoppiato il casino, sono scappato correndo. Ci ho pure
lasciato una bici nuova di zecca.’ Non ci misi molto a capire che Mario era
pazzo per le giapponesi. Abbordava ogni ‘nuova’ fanciulla che compariva
nell’ostello tre secondi dopo che l’aveva fiutata. Lo faceva con tattica tutta
brasileiro-mexicana, non eccellente, in termini di risultati, in Giappone. Una
sera beccò una fanciulla di Chiba decisamente estroversa (fu lei ad
abbordarlo), ma, scoperta n°2, Mario non era molto bravo a chiacchiere. Ragazzo
d’azione (voleva trombare un minuto dopo aver conosciuto la new entry), più che di ‘inutili’ parole.
Dopo tre minuti non sapeva più che cosa dire alla tale, la quale dirottò su un
biondiccio inglese seduto alle nostre spalle. Se lo trombò pure, come
dimostrarono le occhiaie dei due il mattino seguente. Come Mario lo capì, andò
dal suddito della Regina e gli regalò uno scappellotto sulla nuca. Il suddito
fuggì dall’ostello. Mario, come dicevo, era uomo d’azione, non di poesia
fritta.
Un altro compagnuccio
di scorribande conosciuto in quell’ostello era tal Yon, l’esatto opposto di
Mario. Uomo giapponese sulla sessantina, un fricchettone stagionato senza fissa
dimora dopo che la moglie lo aveva sfanculato. Meditativo, metodico,
risparmioso, non aveva carte di credito né e-mail, ma ogni anno amava andare a
svernare in una guest-house di
Bangkok dove fumarsi immensi cannoni indisturbato. Lontano da mogli e da troppe
regole giapponesi. Ogni tanto uscivamo, noi tre, e dopo due minuti Yon se ne
pentiva: l’esuberanza circense di Mario era eccessiva. Da buon atleta, il
giovane latinoamericano si nutriva di banane. Ne aveva sempre qualcuna con sé,
anche in strada. Nei momenti di passione improvvisa – aveva avvistato qualche
fanciulla spettacolare – puntava la banana verso la medesima, impugnandola ad
altezza inguinale. A Kyoto, uno delle città più tradizionaliste del Giappone. Qualche
ragazza rideva (e non andava oltre), altre fuggivano schifate dal gaijin hentai. Un giorno eravamo assieme
in un tempio, io fotografavo, lui avvistò una giovane di bell’aspetto. Con una
mappa sotto l’ascella, le si diresse incontro, fingendo di essere un turista in
cerca di qualcosa (realtà sacrosanta). Come la madre-scorta della fanciulla lo
vide arrivare, lo scacciò a male parole. Fu quella la prima volta, dopo oltre
un mese di Giappone, in cui capii che anche i giapponesi, se messi alle
strette, sanno incazzarsi. A Kyoto ci rimasi tre settimane, un paio delle quali
in compagnia di Mario Testosterone. Anche a me la cosina è sempre piaciuta, per
carité, ma la tenacia monomaniacale di Mario, ai limiti dell’ossessione, batteva
dieci a uno i periodi più pornografici della mia esistenza. Mario, un vero
segugio dell’altro sesso. Con scarsissimi successi, in terra giapponese.
Stanco dei risultati di
Tokyo e di Kyoto (zero rotondo), Mario decise di andare a Okinawa. Lì si
sarebbe concentrato sulla sua altra grande passione, il karate. ‘Okinawa?, gli
chiesi sorpreso. Nonostante a scuola avessi sempre preso diecipiù in geografia,
manco sapevo che fosse in Giappone. L’unica cosa che sapevo è che gli americani
vi avevano combattuto la famosa battaglia. E, sebbene da adolescente avessi
praticato il karate, santa ignoranza, non sapevo che questa disciplina era nata
proprio da Okinawa. Mentre Mario acquistava il biglietto per Naha, io corsi a
vedere on-line un po’ di immagini di ‘sta Okinawa. Spiagge con acqua cristallina,
sembravano le Maldive. L’ostello prenotato dal mio amico a Naha costava la metà
di quello di Kyoto. Nell’arcipelago la temperatura, già agli inizi di aprile, era
molto più elevata di quella gelida del Kansai. Quattro giorni dopo atterravo a
Naha. Prendendo dall’aeroporto il monorail
diretto alla guest-house fui colpito
da due cose: tre buffe vecchiette passeggere, gioiose (una rarità sui treni del
resto del Giappone), che parlavano una lingua strana (ancor più strana dello
stranissimo giapponese); la mancanza di spiagge Maldive-style. Mi sembrava di
essere a São Paulo in una giornata di pioggia, tra condomini e cemento
assortito. Che (cazzo) ci faccio qui?®
Insediatomi all’ostello,
incontrai il mio amicone. Aveva già scovato qualche dojo e stava già insidiando una fanciulla, una commessa di un
negozio di ninnoli lungo Kokusai-dōri, la via per turisti gonzi. Gran pezzo di
commessa, come i miei occhietti poterono certificare il giorno seguente, quando
Mario mi portò a vedere la ‘conquista’. In realtà, però, la tale non era stata
conquistata nemmeno un po’. Aveva un fidanzo ufficiale a Tokyo ed era a Naha
per lavoro. Si era lasciata andare a un po’ di amicizia con il mio amico
muflone, ma non gli aveva concesso alcunché di tangibile (‘Ci sto lavorando’).
Mario la inseguì come uno stalker per
giorni, finché una sera la trovò al tavolo di un caffè mentre chiacchierava con
un turco (anche i saladini, si sa, hanno occhi per vedere), e preso da un
attacco di gelosia la sfanculò. Questo fu solo il primo episodio di una
collezione molto lunga. Non vorrei dilungarmi, magari un giorno trasformerò
questo raccontino in un libro, tanta e tale è la materia succosa. Per ora mi
limiterò all’epilogo. In tre mesi di permanenza in Giappone, nonostante il
bell’aspetto, Mario non riuscì a raccattare una sola fidanza. La tecnica
scimmiesca dell’assalto, di grande successo nella giungla messicana (al suo
paese Mario arrivava con il fuoristrada del padre, apriva la portiera, faceva
un fischio da capostazione e qualcuna giovane con le idee chiare saliva al volo
in macchina) qui non funziona. L’unica tacca che il mio amico riuscì a incidere
nell’albo dei (mezzi) successi fu quella di una singola sera, quando Mario
conobbe l’amica di un’amica. La giovane, caruccia, di Tokyo, sembrava
interessata al surfista-karateka. Parte di un gruppetto che aveva già iniziato
a bere di brutto, la tale incocciò Mario al rientro dall’allenamento. Sudato,
si fece una doccia, che nell’ostello è di fianco alla cucina e alla sala comune
per le chiacchiere collettive. Il mio amico, pazzo come un cavallo, fece uno
strip-tease davanti a tutti e, roteando la minchia latina con una mano, invitò
la giovane a farsi una doccia con lui. Il fatto, oltre a far rotolare tutti i
presenti per terra dal ridere, è entrato negli annali dell’ostello (per fortuna
in quel momento la proprietaria non era presente, altrimenti da allora Mario
avrebbe dormito in strada). L’evoluzione naturale della doccia fu una notte
alcolica al karaoke (Mario non beveva una goccia d’alcol), fino all’alba,
completata con un pompino estorto quasi a forza (la giovane era sbronza e semi-incosciente)
sul tetto della guest-house. Il
giorno dopo, però, con il mal di testa, la ‘mia ragazza’ (così l’aveva già
battezzata Mario) non ne volle più sapere del ‘nuovo’ fidanzato. Mario se ne
tornò in Messico, dopo tre mesi di intenso tacchinaggio, con uno zero pressoché
assoluto (i pompini alcolici estorti quasi a forza notoriamente non fanno
punteggio). Da allora è tornato a Okinawa una sola volta, ma non ha voluto
rischiare: si è portato una fidanza da casa.
Divertentissimo il racconto di Mario! Ma la domanda sorge spontanea: aveva solo una maglietta?? :D
RispondiEliminano, due! una marron, l'altra azzurra. ma questi sono dettagli che inserirò quando trasformerò il raccontino in un libro.
RispondiEliminacomplimenti per lo spirito di osservazione, brava!
Tremendo XD mi sono scompisciata dalle risate XD
RispondiEliminaPensa che io ci ho passato un mese e mezzo assieme...
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