Quasi ogni lunedì sera,
dopo le due ore di spremitura di neuroni nel vano tentativo di imparare il
giapponese al circolo di volontari (sante persone dotate di pazienza immane)
presso l’Associazione delle Donne di Shintoshi, a Naha, vado a cercare di
rinfrescare l’anima con una pizza da Marino,
pizzeria-ristorante, diciamo così, nel grande centro commerciale Naha Main
Place. Il locale è il famoso meno-peggio che sono riuscito a stanare in città,
considerando la qualità media (ridicola tendente al deprimente) delle pizze indigene.
Il locale è tappezzato di frasi italiche che fanno Bel Paese, anche se dal vago
sapore di aria fritta (roba tipo: ‘La nostra massima soddisfazione è vedere il
Vostro sorriso soddisfatto’), con qualche classico svarione in spagnitaliano (‘Plaza
Bevande'). La pizzaiola ha una buona collezione di tic nervosi,
essendo messa lì da sola a sfornare pizze a raffica, UNA ALLA VOLTA (se siete
in quattro, il quarto inizierà a mangiare la propria pizza quando il primo avrà
già bevuto il caffè e pagato il conto). Io ordino sempre la pizza ‘Bologna’,
con wurstel, salame piccante e pancetta, chiedendo al cameriere di cassare lo
stupido wurstel e la fuorisede pancetta; non gli chiedo perchéccazzo l’abbiano
chiamata Bologna, non vorrei rovinargli la serata. La scorsa settimana hanno inventato
nuovi sapori per quelle da asporto, ma vi rispetto e non vi dico quali
ingredienti contengono (questo è un blog rispettabile, non un sito porno). La
pizza, nomi a parte, non è pessima o, meglio, è quanto di più simile a una
pizza nostrana sono riuscito a scovare dopo un anno passato in città (se
qualche lettore ha suggerimenti costruttivi è più che benvenuto). Non so se i
tic della pizzaiola siano dovuti all’essere da sola, o se derivino dallo
stipendio da schiavitù (circa 900 yen per ora di sgobbo; una pizza ne costa
1280). Presumo da un mix delle due peculiarità di Marino. Tra queste, sento il dovere civico di sottolineare il
rapporto con la pasta. Quando vengo a mangiare qui, anche se la mia pizza costa
come tre katsudon di Hotto Motto (la
catena che mi nutre nei momenti di fame randagia), mi sento di aver fatto un
affare. Sì, perché nel conto ci metto non solo la pizza, ma anche l’effetto
stupefacente (meglio di un cannone buono, ecco il ‘risparmio’) che mi dà l’osservare
che cosa sono capaci di sfornare in cucina/che cosa i clienti sono capaci di
ingoiare. Non mi dilungherò, questo è un blog e non la Divina Commedia. Mi
limiterò a descrivere che cosa ho visto servire a tavola lunedì scorso
(preparate due dita e un catino, per favore). Il cameriere arriva
trotterellando al tavolo con mezza forma di Parmigiano svuotata (qui i miei
sogni partono in quarta, per frenare bruscamente dopo dieci secondi): la usa per
insaporire la pasta, che fa molto Primo Mondo. Al suo interno vi maltratta gli
spaghetti che alla distanza giudico già belli cotti. Dopo averli massaggiati
nel formaggio li annega a cuocere ulteriormente in una padella in cui galleggia
una broda gialla non identificata. Vi aggiunge un rosso d’uovo, mescola il
tutto (l’ennesima frittata spacciata per carbonara? Magari…). Poi serve la
pozione fumante a tavola. Nella padella, tra gli spaghetti, affiorano
conchiglie assortite (vongole o cugine). Riassumendo: spaghetti, molluschi,
parmigiano, uovo, sbobba gialla. Ammmmm.
P.S.: Se siete
sopravvissuti alla pasta (by the way:
il locale ha successo e, soprattutto la domenica sera, la folla vi fa la fila
per mangiare le robe sopra citate), potete digerire la fantascienza nel piatto con
un bel gelato. Il reparto coni è alle spalle della cassa e tra i sapori più
interessanti vi consiglio il caramel
cookie, il Cabernet Sauvignon, l’Hokkaido cream cheese o il Murasaklimo. Non chiedetemi che cosa
diamine siano, sia perché non ho ancora imparato il marziano, sia perché io più
in là del pistacchio e del cioccolato, scusatemi per la banalità da ragioniere,
non vado. Appena torno da Marino,
magari, intervisto qualcuno che li lecca e gli/le chiedo che effetto che fa.
P.S.: aggiornamento dal menù di Marino. Sono recidivo, ieri sera vi ho fatto un'altra incursione. Con l'occhio destro osservavo due fanciulle che inghiottivano una 'carbonara' (funghi ed erbe di prato mescolate a broda gialla e pancetta, spaghetti tritati), mentre quello sinistro mi è caduto sul menù, dove qualche prelibatezza ha attirato la mia curiosità da serva. Fra i piatti più ricercati:
Pescatora parmenara
Salmon and spinach parmenara
Source of fish soup acqua pazza
Che da Marino, oltre a un cuoco, abbiano bisogno di qualche ripetizione di angloitaliano?
P.S.2: Sono TREMENDAMENTE recidivo, quando si tratta di pizze, anche se così così. Dunque ieri sera l'ho rifatto. Ogni volta Marino è una miniera di sorprese. Il tempo è denaro, i miei occhi da camaleonte lo sanno, per cui ieri quello destro osservava l'ennesima coppietta lì a commettere crimini (hanno mangiato una pizza - almeno credo che lo fosse - che nel ventre conteneva una specie di brodetto di creature del mare assortite e appallottolate; le tiravano su con il cucchiaio), mentre quello sinistro ha passato allo scanner il menù delle pizze:
Squid ink sauce pizza
Margherita and Bologna
('Bologna', da Marino, è il salame piccante...)
Blue cheese and honey pizza
Spinacci pizza
Biancaneve pizza
Cremy corn pizza
Kikori
(nella foto si vedono dei funghi; 'Kikori' in giapponese significa taglialegna)
Uscendo ho annotato un'ultima frase sul mio taccuino da serva:
Vi preghiamo di metter Vi a Vostro agio.
P.Sissimo: sul blog di un'americagna ho scoperto altro oro. Marino è una catena, ha almeno un altro punto di spaccio dalle parti delle basi americagne e, come tale, propone menù adeguati per i propri avventori dotati di una certa esigenza e sofisticatezza. Qui di seguito due immagini ciucciate dal blog della buongustaia (entusiasta nel recensire la mangiatoia). La prima foto illustra il delirio culinario-linguistico della crime scene, sotto forma di menù. La seconda ritrae una cameriera che rimescola il pastone nella mezza ruota di parmigiano che, inconsapevole di che cosa le sarebbe successo dall'altra parte del mondo, un bel giorno lasciò un caseificio dalle parti di Reggio Emilia per emigrare, speranzosa di una vita migliore al tropico. Ancora, poverina, non sapeva che cosa l'aspettava: fare da pentolone in cui vangare spaghetti buoni per incollare dentiere. R.I.P., Parmigiano.
Prego notare lo sguardo ricco di dubbio della bambina nell'angolo in basso a sinistra. Pare chiedersi: 'What the fuck is she doing with the poor cheese?'
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